Siamo realmente certi che ciò che i nostri occhi ci mostrano equivalga alla realtà? In questo primo volume di Discesa all’inferno, l’autore di Preacher e The Boys ci proietta all’interno di un luogo dove dubitare dei propri sensi potrebbe realmente fare la differenza fra sanità mentale e insania.

Il confine fra thriller e horror è spesso molto più labile di quel che si possa pensare e Discesa all’Inferno di Garth Ennis e Goran Sudzuka (Wolverine, Deadpool etc) si muove con abilità su questo confine indefinito. Pubblicato in patria tramite la label Aftershock e distribuito in Italia grazie a Saldapress, Discesa all’Inferno, fra citazioni e ovvie influenze, rappresenta la perfetta commistione fra due generi solo apparentemente distanti ma che, come il cinema ci insegna, possono convivere e intersecarsi con il solo fine di plasmare storie al limite del cardiopalma. Nella formulazione del moderno hard boiled americano l’espediente costituito da una coppia di agenti del bureau più celebre al mondo, l’FBI, è ormai divenuto un canone, eppure è sorprendente come questo topos, nonostante la marmorea tradizione stilistica, riesca ugualmente a serbare delle sorprese interessanti come in questo caso.

Ennis profila un tipico binomio da manuale, due colleghi dai tratti comportamentali completamente distinti: troviamo McGregor, uomo semplice, senza troppe definizioni caratteriali e con sfumature idealiste che emergono qui e là, e Shawn, donna letteralmente con i pantaloni, un crudo passato e una certa propensione per l’etanolo. La loro introduzione è sceneggiata all’interno di un magazzino apparentemente innocuo, ma presentato in maniera assai suggestiva, a tratti solenne, come per voler calcare la sua natura sorprendentemente orrorifica e sovrannaturale.

Due dei loro colleghi sono dentro da tempo ormai e un’unità di corpi scelti è fuggita in preda ai deliri: cosa si cela realmente all’interno dei suoi meandri? La narrazione apparentemente semplice, che ricalca le linee e le forme dei più classici serial televisivi di stampo crime e noir, funge da veicolo per una storia profondamente horror, dove la mistificazione della realtà viene sublimata in maniera sorprendente, ponendo costantemente il lettore dinanzi a costanti dubbi sulla reale natura dello stomaco del fantomatico magazzino: siamo dinanzi alla realtà o a un’illusione perpetrata da qualcosa di incomprensibile alla natura umana? Siamo davvero all’inferno?

Al di là dell’anima horror che nasconde al suo interno, come detto poc’anzi la storia presenta esternamente la struttura narrativa di un noir con tutti i suoi elementi narrativi distintivi. Infatti attraverso il costante uso di analessi, ricostruiamo di volta in volta il passato dei due agenti, in particolare le vicende che li vedono coinvolti in una serie di casi di infanticidio. La violenza visiva con cui ci vengono mostrati i resti mutilati di alcune giovani vittime ci riconduce a un pensiero dell’autore molto semplice: per quanto l’orrore determinato dall’ignoto sia la fonte delle nostre più grandi e antiche paure, nulla riuscirà a equivalere la violenza umana e la sua efferatezza.

Delirio e paranoia sono costanti, i denominatori dell’intera storia, essenziali non solo per il lettore, ma anche per i protagonisti. Numerose infatti saranno le paranoie che incomberanno non appena, risvegliati da un’apparente svenimento, scopriranno di essere…morti. Niente battito, niente respiro, ufficialmente deceduti, eppure sono lì, coscienti abbastanza per averne paura. Ombre familiari si aggirano tra echi di un passato che incombe nuovamente nelle vite dei due, dubbi e ancora dubbi; il sinistro gioco di qualcuno o qualcosa.

Il perfetto funzionamento di questo script è merito non solo dell’esperienza con l’estremo di Ennis, ma anche delle matite del croato Goran Sudzuka, che riesce nel difficile intento di materializzare l’orrore, qui mostrato in maniera magistrale attraverso deliranti immagini degne di Cronenberg, e persino – e soprattutto – l’incubo. Tavole meravigliosamente espressive, cariche di ogni genere di sentimento nefasto: dal terrore espresso nei volti dei poliziotti in lacrime, all’incessante vacuità che traspare negli occhi di uno dei federali, impossibilitato a morire nonostante la pistola scarica continui a piantargli proiettili in testa.

Shawn e McGregor vengono rappresentati anch’essi in maniera eccelsa, definendo con tecnica e precisione il perfetto binomio indicato da Ennis: lei con un volto perennemente cupo, esacerbata da incubi e insonnia, lui apparentemente calmo ma facilmente suscettibile. Gli ottimi cambi di prospettiva e un uso dovizioso dei colori, questi a opera di Ive Svorcina (Thor, etc), che spaziano da estese tonalità nere e gialle, propedeutiche per definire correttamente gli ambienti plumbei della vicenda, a colori più secchi, presumibilmente finalizzati a creare il giusto contrasto fra le due sezioni della storia, collocano Discesa all’Inferno su un piano tecnico decisamente notevole.

Nonostante tutto, in questo libro c’è dell’altro. È impossibile non notare come Ennis abbia sfruttato delle determinate ed essenziali situazioni tipiche della letteratura di genere per poter disaminare alcune tematiche sociali piuttosto graffianti. Non a caso l’opera si apre con una sparatoria in un centro commerciale; episodio apparentemente inutile sul piano narrativo, eppure questo singolare evento introdurrà proprio i nostri protagonisti, uno dei quali seguirà l’evolversi della strage attraverso la home del suo profilo Twitter. Volendo discernere le sequenze di introduzione, notiamo come lo sceneggiatore in appena tre vignette parli di: libera circolazione delle armi da fuoco, l’ennesima strage che queste comportano, minoranze etniche e ultimo, ma non per importanza, il trattamento delle notizie filtrate attraverso l’uso dei social media.

Questi elementi appena enumerati forniscono attraverso un ampio spettro  di considerazioni il disegno di una società particolarmente assuefatta allo stragismo, che persino in sede popolare non riesce mai a distinguere la fonte del problema da quell’insieme di populismi intrisi di retorica che non fanno altro che alimentare lo stragismo stesso. Sempre attraverso quelle vignette notiamo infatti che la vox populi non dibatte sulla facilità con cui chiunque in America può acquistare un AR-15 (arma nel tempo mutuata in simbolo alla stregua dell’aquila testa bianca) ma su puerili elementi di semantica a noi italiani particolarmente famigliari “e allora x, e allora y”. Notiamo persino alcune invettive contro un certo sistema giudiziario, ma di questo magari parleremo nella recensione del prossimo volume.

In conclusione, questo Discesa all’Inferno #1 si attesta come un’opera intelligente e matura, declinata non solo attraverso lo stile tipico del neo-noir ma anche, e soprattutto,  un certo tipo di horror della mente (forse anche della carne) che al sottoscritto ha ricordato molto il meraviglioso Session 9 di Brad Anderson. Garth Ennis si conferma una penna geniale, qui senz’altro aiutato da un talentuoso Goran Sudzuka.



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